Il rugby esce dalla mischia
IL PROSSIMO MESE A DUBLINO L’INTERNATIONAL BOARD DISCUTERÀ UN CLAMOROSO CAMBIO DEL REGOLAMENTO.
fonte: www.lastampa.it
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11/10/2006
Le prime linee modificheranno l’azione di spinta con gesti meno violenti
Togliere la mischia al rugby è come estrarre l'uovo dalla maionese, l'uva dal mosto: non resta molto, e il gusto ne risente. Eppure stanno cercando di farlo. L'International Board, la massima autorità rugbistica mondiale, nella riunione del prossimo mese a Dublino con grande probabilità approverà una clamorosa modifica alle regole del gioco proposta la settimana scorsa dalla commissione medica. Nelle mischie ordinate - quelle ordinate dall'arbitro, due maree di carne che si scagliano l'una contro l'altra a testa bassa - non ci sarà più schianto selvaggio, ma educato appoggio.
Addio fracasso di deltoidi, buongiorno sicurezza. Le prime linee, formate dai due piloni e dal tallonatore, dal primo gennaio 2007 formeranno la testuggine umana appoggiandosi dolcemente sui rispettivi avambracci. Motivo: contenere il numero dei pericolosissimi infortuni al collo che ammorba uno sport ormai popolato, a livello professionistico, da terrificanti super-atleti. I piloni un tempo erano «ciccioni che spingevano». Larghi, corti, cattivi. Oggi sono cattedrali di muscoli in movimento come l'inglese Andy Sheridan, un metro e 96 di altezza, 118 chili sulla bilancia e 215 sollevati alla panca in allenamento. Un Eurostar lanciato sulle vertebre altrui.
È stato calcolato che la forza che i tre uomini della prima linea devono sostenere ad ogni mischia si aggira sui 750 chilogrammi. Qualche mese fa è stato il dottor James Bourke, medico del Queen's Medical Center di Nottingham, e da trent'anni responsabile dello staff medico del Nottingham Football Club, a suonare l'allarme con un articolo pubblicato sul British Medical Journal. «Un tempo ero favorevole alla spinta in mischia - ha dichiarato Bourke -, ma ho dovuto cambiare idea dopo essermi trovato di fronte a sette gravissimi infortuni alla colonna vertebrale, sei dei quali causati dal gioco in mischia, e a due ragazzi condannati a vita alla sedia a rotelle». Il suo appello evidentemente ha mosso i cuori, e forse anche distretti meno nobili, dei legislatori ovali, anche se in realtà molti degli infortuni più recenti non sono imputabili direttamente alla mischia.
Il rugby è tradizionalmente uno sport che sa rispettare la tradizione mentre la aggiorna. Molte regole sono state modificate, anche negli ultimi anni, da quelle sulla touche a quelle che ordinavano i raggruppamenti e i contatti, per velocizzare le azioni. Ma il passo che si annuncia rischia davvero di snaturare un gioco che sulla virtù maschia del «pack», sulla frontiera mobile che attraversa la cervice dei piloni ha costruito molta della sua mistica. «Il rugby finisce al numero 8», sosteneva Brad Johnstone, All Black ed ex allenatore azzurro, estremizzando il concetto. Perché sono i primi 8 i giocatori che compongono il pacchetto, il cuore sporco e glorioso di qualsiasi squadra, il motore fumante che edifica il senso stesso del gioco.
La mischia è praticamente assente dal rugby a 13, e a livello under 19 è stata depotenziata da tempo, impedendo qualsiasi azione di spinta. Castrare l'ingaggio furibondo dei piloni significherebbe compiere il primo passo verso la definitiva trasformazione del rugby a quindici in un oggetto diverso: magari più spettacolare, più televisivamente commestibile, ma sicuramente più magro di anima. Una tendenza - qualcuno direbbe una decadenza - inaugurata dall'avvento del professionismo nel 1995. Fu Murdoch a comprarsi la prima fettina, anzi fettona, d'innocenza, quando convinse Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda a vendergli per 550 milioni di dollari i diritti delle nuove competizioni australi, il Super 12 e il Tri-Nations. Da allora il rugby ha iniziato lentamente a trasformarsi da fenomeno tribale e poetico, ma di nicchia, a evento lucrosamente catodico e globalizzato. «Gli infortuni fanno parte dello sport - ha replicato al dottor Bourke Brian Moore, ex pilone, avvocato e columnist del Daily Telegraph, interpretando l'umore di gran parte del mondo rugbistico - e anche la legge lo prevede. Cambiare la mischia significherebbe snaturare il senso del gioco. Il rugby non sarebbe più lo sport unico che è oggi».
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